19.3 Collegamenti in fibra ottica
Una fibra ottica è realizzata in vetro o silicio fuso, ovvero qualunque materiale dielettrico trasparente alla luce, tanto che può essere realizzata anche in plastica. Il suo utilizzo è quello di trasportare energia luminosa in modo guidato. Una caratteristica che deriva direttamente dalla sua natura è l’immunità della fibra ottica ai disturbi di natura elettromagnetica; tale proprietà impedisce fenomeni di interferenza (diafonia), così come non permette di prelevare segnale dall’esterno (intercettazione).
Le lunghezze d’onda
delle radiazioni elettromagnetiche nel
campo del visibile sono comprese tra circa 100
μm dell’infrarosso e 50 nm dell’ultravioletto (1 nm=
10 − 9 metri), che corrispondono a frequenze (ricordando ancora che
f = cλ) che vanno da
3 ⋅ 1012 fino a
6 ⋅ 1015 Hz. Questi valori individuano una banda passante veramente notevole se comparata ad altri mezzi trasmissivi: supponiamo infatti di effettuare una modulazione che occupi una banda pari allo 0.1% della frequenza portante. Se
f0 = 1 GHz, si ha 1 MHz di banda; ma se
f0 = 1013, si ha una banda di 10 GHz!
19.3.1 Trasmissione ottica
Anche se sono teoricamente possibili schemi di
modulazione analogica, le fibre ottiche sono usate per trasportare informazione di natura
binaria secondo lo schema di fig.
19.11,
in cui la luce emessa da una sorgente è accesa o spenta, ovvero modulata in ampiezza, con uno schema detto
on-off keying o
ook. All’altro estremo della fibra un
fotorivelatore effettua (appunto) una rivelazione
incoerente dell’energia luminosa, che viene nuovamente convertita in un segnale elettrico. Le prime fibre ottiche risalgono al 1970, e fornivano attenuazioni dell’ordine di 20 dB/Km. Attualmente si sono raggiunti valori di attenuazione di 0.2 dB/Km, pari ad un quarto di quella dei migliori cavi coassiali. D’altra parte, a differenza del rame, il materiale utilizzato per le fibre (vetro o silicio) è largamente disponibile in natura. Inoltre, a parità di diametro, una fibra ottica trasporta un numero anche 1000 volte maggiore di comunicazioni rispetto ad un cavo coassiale, fornendo quindi anche un risparmio di spazio.
Propagazione luminosa
e indice di rifrazione
Lo spazio libero è il mezzo in cui la luce viaggia alla sua
massima velocità, pari a
c = 3 ⋅ 108 m/sec; il rapporto
n tra
c e la velocità di propagazione
v in un mezzo trasparente prende il nome di
indice di rifrazione n del mezzo stesso, ossia
n = c⁄ν, risultando sempre
n ≥ 1.
Esempio Se n = 2 allora la velocità di propagazione della luce nel nuovo mezzo è la metà di quella che avrebbe nello spazio.
Quando un raggio luminoso incontra una superficie di separazione tra mezzi con
diverso indice
n (ad esempio, da
n1 ad
n2 < n1) una parte di energia
si riflette con angolo
θi uguale a quello
incidente, e la restante parte continua
rifrangendosi nell’altro mezzo, ma con diverso angolo
θr. La relazione tra gli angoli è nota come
legge di Snell
ed essendo
n1⁄n2 > 1 il raggio
rifratto risulta più inclinato nel mezzo con
n inferiore (dove viaggia più veloce), ovvero si ha sempre
θr < θi.
Immaginiamo ora di aumentare un po’ alla volta l’inclinazione, a partire da
θi = π⁄2 (perpendicolare) fino a
θi = 0: esiste un
valore critico 0 < θc < π⁄2 per l’angolo di incidenza
θi in corrispondenza del quale
θr si azzera: ciò corrisponde ad avere il termine sinistro della
(21.170) pari ad uno, da cui si ottiene
θc = arccos n2n1.
Per valori di incidenza
θi < θc non si verifica rifrazione, ma
tutto il raggio viene riflesso. La capacità della fibra ottica di trasportare energia luminosa si fonda proprio su questo fenomeno, che a sua volta ne determina la struttura, costituita da un nucleo (
core) centrale con indice di rifrazione
n1, circondato da un rivestimento (
cladding) con indice
n2 < n1; entrambi racchiusi in una guaina (
jacket) di materiale opaco, raffigurati in fig.
19.13a.
Applicando la
(21.170) anche all’interfaccia tra sorgente luminosa (con indice di rifrazione
n0 < n1) e fibra, si definisce
apertura numerica il valore
Δ = √n21 − n22 = n0 sin θMax0
dove
θMax0 è il massimo angolo
θ0 (vedi fig.
19.13b) con cui può
entrare energia nella fibra, e quindi continuare a propagarsi mediante riflessione totale. Pertanto si ottiene
θMax0 = arcsin Δn0 da cui osserviamo che quanto più
Δ è piccola (ovvero
n1 ed
n2 sono simili) tanto più
θMax0 si riduce, e dunque si riduce la potenza luminosa che viene immessa nella fibra ottica, ma... si ottiene il beneficio illustrato di seguito.
Quando un raggio luminoso attraversa la fibra, l’energia si propaga mediante diversi modi di propagazione, uno per ogni angolo θ0 < θc con cui entra la luce incidente. Il modo principale è quello che si propaga lungo l’asse rettilineo, mentre i modi secondari sono quelli con angolo θi < θc che si riflettono completamente al confine tra core e cladding. I modi associati ad angoli più elevati di θc vengono progressivamente assorbiti dalla guaina, e dunque non si propagano.
Questo fenomeno è dovuto al fatto che i modi di propagazione relativi agli angoli di incidenza più elevati percorrono di fatto
più strada, e dunque
impiegano più tempo per giungere a destinazione: pertanto, ogni singolo impulso luminoso presente in ingresso produce in uscita più impulsi distanziati nel tempo, uno per ogni modo di propagazione. Dato che inoltre avviene un continuo scambio di energia tra i diversi modi, si ottiene che l’uscita sarà un segnale con una maggiore estensione temporale, come esemplificato in figura.
L’entità della
dispersione temporale (differenza tra ritardo massimo e minimo) è tanto maggiore quanto più il collegamento è lungo, e quanti più modi partecipano alla propagazione: un suo valore tipico è dell’ordine di 10 nsec/Km. La conseguenza di questo fenomeno è la limitazione della
massima frequenza con cui gli impulsi luminosi
possono essere posti in ingresso alla fibra; impulsi temporalmente troppo vicini causano infatti interferenza intersimbolica
(
isi) in uscita, rendendo gli impulsi sovrapposti. Pertanto la massima frequenza di segnalazione in una fibra ottica
dipende dalla sua lunghezza.
Nelle fibre ottiche
multimodo sono presenti più modi di propagazione, e vengono distinte (fig.
19.13a) nel tipo
step index se
n cambia in modo brusco, o in quello
graded index se il
core ha un indice graduato. Nel secondo caso la dispersione temporale è ridotta; infatti quando i modi secondari attraversano la sezione periferica del core, incontrano un indice di rifrazione
n ridotto, e quindi viaggiano più veloci. Una diversa (e drastica) soluzione al problema della dispersione temporale è fornita dalle fibre ottiche
monomodo: queste sono realizzate con un core di diametro così piccolo, da consentire alla sorgente luminosa di immettere luce nella fibra solo con angolo di incidenza nullo, e quindi permettere la propagazione del solo modo principale.
Ovviamente le ultime due soluzioni (graded index e fibra monomodo) sono state rese possibili grazie ai progressi nei processi di fabbricazione.
Similmente ai cavi elettrici anche le fibre ottiche sono mezzi dissipativi, in quanto parte dell’energia in transito viene assorbita dalla fibra stessa e trasformata in calore. I fenomeni di assorbimento che si manifestano sono quelli di natura intrinseca del materiale silicio, quelli legati allo scattering per disomogeneità della densità e del diametro della fibra, e quelli legati alla presenza di impurità chimiche, che possono ridurre la trasparenza oppure avere dimensioni (a livello molecolare) comparabili con le lunghezze d’onda in gioco.
La caratteristica comune ai fenomeni di assorbimento è una marcata dipendenza da
λ, cosicché la loro combinazione determina la caratteristica di attenuazione
chilometrica A0 mostrata in fig.
19.16, dove possono essere individuati 3 intervalli di lunghezze d’onda (detti
finestre) per i quali l’assorbimento è ridotto, ed in cui sono effettuate le trasmissioni ottiche. La prima finestra (con attenuazione maggiore) è stata l’unica disponibile agli inizi, a causa dell’assenza di trasduttori affidabili a frequenze inferiori, ed è tuttora usata per collegamenti economici e scarsamente critici. La seconda finestra ha iniziato ad essere usata assieme alle fibre monomodo, grazie all’evoluzione tecnologica dei trasduttori, mentre l’uso della III finestra si è reso possibile dopo essere riusciti a limitare la
dispersione cromatica delle fibre (vedi appresso).
Tra le fonti di attenuazione
supplementare troviamo quella causata dalle
giunzioni tra tratte in fibra ottica: l’uso di connettori produce una perdita di 0.4
÷ 1 dB, ed i giunti meccanici
≃ 0.2 dB oppure anche 0,05 dB se ottimizzati per via strumentale. Inoltre, le fibre si possono
fondere tra loro, con perdite tra 0,01 e 0,1 dB. Una ulteriore fonte di perdite localizzate può essere costituita
dalle curve nel percorso, che non devono avere un raggio troppo stretto, altrimenti parte dell’energia non subisce riflessione totale, e viene assorbita dal
jacket.
Dopo aver ridotto od eliminato il fenomeno di dispersione modale è emersa una ulteriore causa di dispersione temporale dell’energia immessa nella fibra ottica: il problema si verifica se il segnale di ingresso non è perfettamente monocromatico, ovvero se in esso sono presenti diverse lunghezze d’onda. Dato che il valore dell’indice di rifrazione dipende dalla lunghezza d’onda,
λ diverse si propagano con velocità differenti e raggiungono l’altro estremo della fibra in tempi successivi. La dispersione cromatica
nominale D0 della fibra si misura in
⎡⎣psecKm ⋅ nm⎤⎦, e dà luogo ad una effettiva dispersione temporale
D = D0 ⋅ L ⋅ Δλ psec
che è direttamente proporzionale alla lunghezza
L della fibra ed alla estensione della
gamma cromatica Δλ della sorgente. Per ridurre il fenomeno è possibile:
- utilizzare una lunghezza d’onda λ per la quale la dispersione cromatica è ridotta. Ad esempio, una fibra di silicio normale produce una dispersione nominale 15 volte inferiore a 1.3 μm ( ~ 1 ⎡⎣psecKm ⋅ nm⎤⎦) che non a 1.5 μm;
- scegliere una sorgente con la minima estensione cromatica Δλ;
- adottare una tecnica di controllo della dispersione, vedi § 19.3.3.3.
Dispersione del modo di polarizzazione
Indicata come pmd, è una conseguenza della non perfetta simmetria cilindrica del core, che causa il fenomeno della birifrangenza; dato che queste variazioni geometriche sono casuali e disperse su tutta la fibra, ciò determina un continuo scambio di energia tra le componenti a polarizzazione verticale ed orizzontale del segnale in transito, a cui si associa una dispersione temporale che dipende dalla radice della lunghezza della fibra, in una proporzione compresa tra 0.1 e 0.01 ps⁄√Km. Normalmente questo fenomeno ha conseguenze trascurabili, ma può incidere sulle prestazioni di collegamenti lunghi ed a velocità elevata.
Nascono dall’interazione tra la luce ed il materiale in cui si propaga, e dipendono dalla intensità del fascio ottico, ovvero da quanto questo è
concentrato spazialmente. Causano perdite di intensità del segnale, rumore, interferenza intercanale nel
wdm, e dispersione temporale, ma è anche possibile trarne vantaggio, come nel caso dell’amplificazione ottica, della conversione di lunghezze d’onda e della compensazione di dispersione. Possiamo distinguere due categorie di effetti non lineari:
- diffusione stimolata (o scattering) legata alla interazione tra fotoni ed atomi della fibra, come lo stimulated Brillouin scattering (sbs) e lo stimulated Raman scattering (srs);
- fenomeni legati all’effetto Kerr ed alla dipendenza dell’indice di rifrazione dalla potenza ottica, come la self phase modulation (spm), la cross phase modulation (xpm) ed il four wave mixing (fwm).
Sono in genere fenomeni di lieve entità, ma il loro effetto si accumula durante la propagazione, e dunque come per la dispersione, dipende dalla lunghezza del tratto percorso. Ne rimandiamo la descrizione a quando saranno citati nel seguito.
19.3.2 Bilancio di collegamento
Nel caso delle fibre ottiche lo schema definito al §
19.1 deve essere particolarizzato al tipo di trasduttori in uso, che assieme alle caratteristiche della fibra influenzano oltre che la lungheza del collegamento, anche la sua banda.
Trasduttori elettro-ottici
Table 19.2 Caratteristiche delle sorgenti luminose
I primi ad essere usati sono stati gli economici
led (
Light Emitting Diode), che richiedono una circuiteria di interfaccia semplice, sono poco sensibili alle condizioni ambientali, e risultano affidabili. D’altra parte, i
led raggiungono frequenze di
segnalazione limitate al centinaio di Mbps, immettono nella fibra una
potenza ridotta, ed emettono luce su di una
gamma cromatica Δλ > 50 nm.
Per ridurre la dispersione cromatica (e quindi raggiungere frequenze di segnalazione più elevate) occorre ricorrere ai
Diodi Laser (
ld), che forniscono anche una maggiore potenza, e dunque divengono indispensabili per coprire distanze maggiori; d’altra parte i
ld sono più costosi, hanno vita media ridotta rispetto ai
led, e richiedono condizioni di lavoro più controllate. Notiamo inoltre come una fibra ottica posta inizialmente in opera mediante sorgenti
led, possa essere potenziata (in termini di banda) semplicemente sostituendo il
led con il
laser.
L’uso di sorgenti che operano in III finestra, che (presentando una attenuazione ridotta) permette di operare con tratte più lunghe, obbligherebbe però a ridurre la frequenza di segnalazione, a causa della maggiore dispersione cromatica. Ma questa limitazione è stata superata da un particolare tipo di fibra, detta
dispersion shifted (vedi fig.
19.17), che presenta il minimo della dispersione cromatica nominale in III finestra anziché in II, e che raggiunge valori migliori di 3.5 psec/Km
⋅ nm.
Come anticipato la dispersione cromatica
D risulta proporzionale alla lunghezza del collegamento
L ed all’estensione cromatica
Δλ della sorgente. Se pensiamo di effettuare una trasmissione con codici
nrz e periodo
Tb = 1⁄fb, ed imponiamo che la dispersione temporale sia non maggiore di
14 Tb, deve risultare
in cui
D0 è la dispersione cromatica
nominale [psec/Km
⋅ nm],
L è la lunghezza [Km],
Δλ è l’estensione cromatica della sorgente [nm], e
Tb è la durata di un bit [psec]. Associando ora il concetto di
banda B alla frequenza di segnalazione
fb = 1Tb, la relazione
(21.171) può essere riscritta in modo da evidenziare il
prodotto della banda per la lunghezza PBL, che è pari al valore
che è una grandezza che dipende dalla coppia fibra-sorgente, e che rappresenta la relazione tra
fb ed
L necessaria ad ottenere
D = 14 Tb. Inserendo dunque i valori
di
Δλ (della sorgente) e
D0 (della fibra) nella
(21.172) si ottiene
una costante da usare per calcolare la banda (frequenza) massima trasmissibile per una data lunghezza (o viceversa).
Qualora si usi un codice rz, i cui simboli hanno durata metà del periodo di bit
Tb, la dispersione temporale tollerabile può essere elevata al 50% di
Tb, e quindi in questo caso il prodotto banda-lunghezza risulta doppio rispetto al caso precedente:
PBLRZ = 0.5D0 ⋅ Δλ = 2 ⋅ PBLNRZ
In fig.
19.19-b) sono mostrati i valori di
PBL (per il caso
NRZ) associati alle accoppiate fibra-sorgente indicate.
Esercizio Determinare la lunghezza massima di un collegamento in fibra ottica monomodo, operante con λ=1.3 μm, e che garantisca una velocità fb=417 Mbps, assumendo un guadagno di sistema di 42 dB (ovvero disponendo di una potenza di trasmissione 42 dB maggiore della minima potenza necessaria in ricezione).
Soluzione Dal grafico di fig.
19.16 si trova che per
λ=1300 nm l’attenuazione chilometrica è di 0,35 dB/Km, che determina una
Ad = 0, 35 ⋅ LKm [dB]. Imponendo ora
Ad = Gs = 42 dB si ottiene una lunghezza pari a
L = Ad0.35 = 420.35 = 120 Km, che identifica il
Limite di Attenuazione del collegamento. Verifichiamo quindi che non intervenga un limite più stringente a causa della dispersione cromatica. Supponendo di utilizzare la sorgente laser in grado di conseguire un
PBL di 250 Gbps
⋅ Km, si ottiene una lunghezza massima pari a
L = PBLfb = 250.000417 = 600 Km, che costituisce il
Limite di Dispersione.
Massima lunghezza di tratta
L’esercizio svolto ha lo scopo di mostrare la metodologia di progetto per un collegamento in fibra ottica, in cui vengono calcolati entrambi i limiti di
Attenuazione e di
Dispersione, e la massima lunghezza del collegamento è determinata dal vincolo più stringente. Nel caso dell’esercizio la lunghezza è determinata dal limite di attenuazione, ed il progetto può essere rivisto utilizzando una sorgente
più potente per aumentare il guadagno di sistema, e di conseguenza migliorare il limite di attenuazione. In questo caso può essere opportuno prestare attenzione al fatto che, aumentando la potenza di emissione, la purezza cromatica della sorgente può degradare (in quanto si verifica un aumento di
Δλ dovuto a fenomeni non lineari) con un conseguente peggioramento del limite di dispersione; è pertanto possibile ricercare la soluzione di migliore compromesso tra potenza di emissione e purezza spettrale. Qualora non si riesca a rientrare nelle specifiche di progetto con una unica tratta occorre suddividere il collegamento in più segmenti, collegati da
ripetitori rigenerativi (§
18.3.2), oppure ripartire la banda su più fibre poste in parallelo; d’altra parte l’affermazione delle tecniche discusse al §
19.3.3 come
wdm, amplificazione ottica e
controllo della dispersione, consentono di attuare soluzioni ancora diverse.
Trasduttori ottico-elettrici
Table 19.3 Valori di sensibilità dei fotorivelatori
Sono i dispositivi che effettuano la conversione del segnale luminoso uscente dalla fibra ottica in uno elettrico e per i quali, come per le sorgenti, non entriamo nei dettagli tecnologici. Il trasduttore utilizzato fin dall’inizio, economico ed affidabile, è il diodo
p-i-n. Un secondo tipo di trasduttore molto usato è il diodo
apd (
Avalanche Photo Detector), caratterizzato da un
effetto valanga che lo rende più sensibile di 10-15 dB rispetto ai
p-i-n; d’altra parte gli
apd sono più delicati, e più sensibili alla temperatura. La tabella
19.3 riporta i valori di sensibilità
WR (ossia la minima potenza che è necessario ricevere) di diversi fotorivelatori, necessaria a conseguire una probabilità di errore per bit
Pe = 10 − 11.
Sensibilità e frequenza di segnalazione
Nella tabella
19.3 è riportato anche il valore della frequenza di segnalazione
fb a cui si riferisce la sensibilità, ma occorre tenere presente che quest’ultima peggiora all’aumentare di
fb. Infatti, le prestazioni conseguite dal decisore che si trova a valle del trasduttore dipendono (pag.
1) da
EbN0, in cui
Eb è l’energia per bit che vale
Eb = WR ⋅ Tb = WRfb. Pertanto, i trasduttori dimezzano la sensibilità (che aumenta di 3 dB) se la velocità
fb raddoppia, in quanto si dimezza l’energia per bit
Eb. La sensibilità a frequenze diverse da quelle in tabella può quindi essere calcolata come
19.3.3 Seconda generazione
Quanto finora esposto può considerarsi una prima generazione di sistemi in fibra ottica (anni ’90), e per la quale assumendo un valore
PBL = 200 (fig.
19.19), si ottiene una lunghezza di tratta di 80 Km a 2,5 Gbps e di soli 20 Km a 10 Gbps. Da allora si sono rese possibili nuove tecniche che consentono di aumentare di molto il
PBL, e che sono ora brevemente illustrate.
19.3.3.1 Amplificazione ottica
Consiste nell’aumento della dinamica (e quindi della potenza) del segnale ottico in transito, senza effettuare la conversione in segnale elettrico e viceversa, come invece accade con un ripetitore rigenerativo (§
18.3.2), la cui realizzazione nel caso dei sistemi
wdm (che si stavano affermando nello stesso periodo) è particolarmente complessa. Con l’adozione dell’amplificazione ottica si riescono a realizzare collegamenti con rigeneratori intervallati di circa 500 km, ed amplificatori ogni circa 100 Km. Il funzionamento di questi ultimi si basa
sulla
emissione stimolata di fotoni legata alla
λ in transito, prodotta da un
segnale di pompa elettrico o luminoso, che ne determina il guadagno.
Amplificatore in fibra drogata all’erbio
In questo caso il
mezzo attivo corrisponde ad un tratto di qualche decina o centinaio di metri di fibra (appunto, drogata) in cui vengono miscelati il segnale in transito e quello di pompa. Il drogaggio a base di
erbio è il tipo più diffuso in terza finestra, in quanto presenta un guadagno massimo in corrispondenza della
banda c (1525 - 1565 nm) e della
banda l (1570 - 1610
nm). Il guadagno può raggiungere i 30 dB con un segnale di pompa di 15 mW, e dipende (in modo inverso) anche dalla potenza del segnale in transito, presentando un effetto di
saturazione; inoltre il guadagno può essere
non uniforme su tutta la banda (in termini di
λ), ma questo fenomeno può essere compensato mediante filtri ottici. L’amplificatore
edfa presenta inoltre un fattore di rumore di 4 - 8 dB, che pone un limite al massimo numero di tratte amplificate otticamente, dopodiché occorre intercalare un ripetitore rigenerativo.
Amplificazione a semiconduttore e Raman
L’amplificatore ottico a semiconduttore (soa) è di piccole dimensioni, viene pilotato da un segnale di pompa elettrico, è più economico dell’edfa, ed opera su un ampio intervallo di λ. Di contro, il soa è più rumoroso, presenta un guadagno inferiore a quello dell’edfa, ed è affetto da fenomeni non lineari. Viene anche utilizzato come interruttore ottico nei dispositivi di multiplazione e conversione di λ.
Anche l’amplificazione Raman utilizza un segmento di fibra per mescolare il segnale in transito con quello (ottico) di pompaggio, ma a differenza dell’edfa, il guadagno non dipende dal drogaggio, ma dal verificarsi dello scattering di Raman che richiede un pompaggio maggiore, anche di 0.5 - 1 W, ed una lunghezza maggiore, anche alcuni km. Dato che non è necessario drogare la fibra, il metodo è applicabile ad impianti già in esercizio, ed il guadagno può essere reso uniforme su ampi intervalli di λ.
19.3.3.2 Multiplazione a divisione di lunghezza d’onda - WDM
Il successivo passo verso l’incremento della capacità di trasporto della fibra
viene compiuto applicando alle trasmissioni ottiche il principio della multiplazione a divisione di frequenza, ovvero immettendo sulla stessa fibra più di un segnale ottico, ognuno con la sua propria
λ. In questo caso si parla di
wdm (
Wavelength Division Multiplex), che viene realizzata mediante lo schema di principio dei
rifrattori prismatici, realizzando un circuito ottico del tipo illustrato alla figura precedente. I dispositivi di multiplazione
wdm sono
passivi e
reversibili, dato che non necessitano di alimentazione, ed lo stesso apparato può indifferentemente svolgere una funzione e la sua inversa. Nondimeno, spesso al multiplatore è fatto seguire uno stadio di amplificazione ottica.
Nella figura che segue si illustra come le diverse portanti ottiche vengano disposte nelle regioni a bassa attenuazione. In funzione di quante portanti vengano utilizzate, si distingue tra il caso di
coarse wdm o
cwdm, con al massimo 16
λ, e quello di
dense
wdm o
dwdm. Nel
dwdm sono previste 40 portanti spaziate di 100 GHz nella
banda c, oppure 80 portanti spaziate di 50 GHz, su ognuna delle quali inviare un segnale con velocità 10 Gbps, per una capacità complessiva da 400 ad 800 Gbps; capacità che può ulteriormente raddoppiare qualora venga utilizzata allo stesso tempo anche la
banda l.
I sistemi
dwdm necessitano di dispositivi dotati di notevole stabilità in frequenza, dotati di controllo della temperatura, e dato che il loro uso è in pratica
relegato alle dorsali ad alta velocità, soffrono di un prezzo elevato a causa del mercato ristretto. L’amplificazione dei collegamenti
dwdm viene tipicamente svolta mediante
edfa, che a differenza dei
soa non produce effetti di intermodulazione tra canali; d’altra parte, devono esser prese contromisure rispetto alle irregolarità del guadagno tra le diverse portanti, e tener presente che l’amplificazione della
banda l necessita di una lunghezza di fibra maggiore rispetto alla
banda c, svolta pertanto su due tratte consecutive. Inoltre, livelli eccessivi di potenza (che per il
dwdm è moltiplicata per il numero di
λ attive) intensificano i fenomeni non lineari (pag.
1) che possono portare ad interferenza tra canali.
Un importante risultato della trasmissione dwdm è che, ospitando differenti tributari ad alta velocità su diverse λ, decadono quelle esigenze di sincronizzazione tipiche dei sistemi tdm, e si realizza una sorta di trasparenza in quanto scompaiono i dispositivi strettamente legati al tipo di segnale trasportato.
19.3.3.3 Controllo della dispersione
Con l’avvento degli amplificatori ottici la massima lunghezza di un collegamento in fibra non è più limitata dalla sua attenuazione, ma solo dai fenomeni di dispersione temporale, e da quelli non lineari. In realtà l’amplificazione ottica peggiora i fenomeni di dispersione, dato che in assenza di uno stadio di rigenerazione, queste degradazioni si accumulano di amplificatore in amplificatore; per questo motivo, sono state sviluppate le tecniche di gestione della dispersione. Alcune di queste agiscono al trasmettitore od al ricevitore, rispettivamente in modo da predistorcere il segnale, oppure di equalizzarlo, facendo ricorso a tecniche di demodulazione coerente, od a tecniche non lineari. In tal modo però non si riesce ad andare oltre un semplice raddoppio del PBL.
Il fenomeno della dispersione
cromatica può essere tenuto sotto controllo anche per collegamenti di migliaia di chilometri inserendo lungo gli
stessi alcune tratte di fibra con un coefficiente di dispersione
D0 negativo, e quindi in grado di
invertire l’effetto prodotto sulle diverse componenti cromatiche. Tipicamente occorre inserire qualche km di
Dispersion Compensating Fiber (
dcf) ogni cinquantina di km di collegamento, applicando la relazione
D0L0 + DDCFLDCF = 0 in cui il pedice
DCF individua dispersione e lunghezza della fibra compensatrice. E’ una soluzione sempre più diffusa, anche in virtù della progressiva riduzione della perdita di potenza che ne caratterizzava le prime realizzazioni.
E’ una soluzione che evita di allungare il collegamento con le dcf ed opera inserendo filtri interferometrici (o basati su reticolo) subito dopo gli amplificatori ottici. Un tale posizionamento, oltre ad avere un vantaggio logistico, permette di compensare le perdite introdotte dai filtri. Questi ultimi possono inoltre svolgere anche una funzione di controllo del rumore e di normalizzazione del guadagno dell’amplificatore ottico.
19.3.4 Sistemi in fibra ottica
Fin qui le fibre ottiche sono state descritte come mezzo trasmissivo per un collegamento punto-punto ad alta velocità, mentre il loro utilizzo si è esteso alla rete di accesso e distribuzione, e sono stati sviluppati dispositivi in grado di interconnettere i nodi di rete e svolgere le operazioni di instradamento operando direttamente a livello ottico, senza dunque dover passare dal dominio elettrico, con evidenti vantaggi e semplificazioni da un punto di vista realizzativo.
19.3.4.1 Dalle fibre ottiche alle reti ottiche
La trasmissione
wdm permette di realizzare
lo schema di
rete ottica mostrato in figura e detta
wavelength routed optical network, in cui ad ogni tributario è assegnata una
λ che lo identifica da estremo ad estremo; in realtà ciò che viene realizzato è uno schema di instradamento del tipo a
circuito virtuale (pag.
1), e l’effettiva
λ associata ad un circuito
cambia di nodo in nodo. A tal fine sono stati sviluppati i seguenti dispositivi, che permettono di realizzare in forma completamente ottica le funzioni svolte da quelli descritti al §
24.6.1.
Multiplatori
e
demultiplatori
passivi che rispettivamente
convogliano più
λ in unica fibra, oppure le estraggono, oppure ancora che combinati assieme ad un commutatore a due vie permettono la funzionalità
optical add and drop (vedi §
24.3.4.2) o
oadm, come mostrato nella figura a fianco.
(o star copulers) che assemblano le λ provenienti da sorgenti diverse in un unico flusso wdm, che viene quindi inoltrato a molteplici ricevitori mediante altrettante fibre di uscita.
Convertitori di lunghezza d’onda
basati su effetti non lineari, che pur se più costosi di altri componenti, permettono (come discutiamo sotto) di realizzare instradamenti non bloccanti.
(
oxc)
che svolgono la funzione di commutazione ed instradamento dei segnali ottici, di cui è possibile distinguere, in ordine di complessità e di costo, tra:
- matrici di commutazione spaziale che permettono l’interconnessione tra M fibre in ingresso ed altrettante in uscita, e possono essere realizzate mediante dei micro-specchi a controllo elettromeccanico, una tecnologia nota come micro electro-mechanical systems o mems.
- commutatori di lunghezza d’onda che permettono di commutare le singole λ di M flussi wdm verso altrettanti (diversi) flussi. Sono realizzati combinando elementi di commutazione spaziale con moduli di multi-demultiplazione delle λ, come mostrato in fig. 19.26-(a).
- wavelength selective switch o wss, in grado anch’essi di combinare la funzione di demultiplazione spaziale delle λ con il loro direzionamento verso una diversa fibra di uscita per mezzo di celle a cristalli liquidi, eventualmente realizzate su silicio, offrendo anche il vantaggio della programmabilità. Ma nel caso in cui flussi entranti differenti ma con λ uguali debbano uscire sulla medesima fibra, si verifica un fenomeno di blocco (§ 24.8.2), evitato dal dispositivo che segue;
- wavelength router (wr), con la capacità di instradare il segnale trasportato dalle λ sulle porte di ingresso verso una diversa λ in uscita, sulla base di una matrice di routing. In fig. 19.26-(b) ne viene mostrato uno schema realizzativo, in cui sono evidenziati i convertitori di λ necessari a realizzare un comportamento non bloccante.
19.3.4.2 Rete ottica di trasporto
Al §
24.4 viene descritta la rete
sdh, che offre un servizio di trasporto a divisione di tempo per tributari di diverso tipo: ma l’architettura descritta al §
24.6 prevede la fibra
solo come mezzo trasmissivo tra dispositivi, che invece operano in modalità elettronica, e necessitano di una conversione elettro-ottica ad ogni porta di
i/o. Una rete ottica (
otn) come quella sopra descritta, al contrario, svolge tutte le funzioni direttamente nel dominio ottico, ed a questo fine sono stati definiti gli standard necessari a permettere l’interconnessione dei dispositivi ed il loro controllo. D’altra parte, non si è ancora in grado di evitare del tutto le forme di degradazione legate al rumore introdotto dagli amplificatori ottici e dai fenomeni non lineari; pertanto convivono
isole di trasparenza ottica, interconnesse tra loro mediante stadi di completa rigenerazione.
L’approfondimento necessario a descrivere l’architettura di una otn, e le modalità atte ad ospitare traffico eterogeneo (sdh, Ethernet, atm, ip) travalica i limiti di questo testo, per cui si rimanda ad alcune risorse Internet.
19.3.4.3 Rete passiva di distribuzione
Nella maggior parte dei casi il collegamento in fibra termina presso la propria centrale telefonica, dove sono alloggiati i
dslam (§
24.9.4) che inviano il segnale
adsl all’utente finale mediante un collegamento in rame, con la velocità consentita da questa tecnologia. Ma attualmente il collegamento in fibra ottica si avvicina sempre più alla residenza dell’utente finale, e viene classificato con una sigla del tipo
fttx
, che sta per
fiber to the “x”, in cui la
x indica appunto fin dove arriva la fibra. In tal senso, possiamo distinguere tra
- ftt exchange: la situazione di base, in cui la fibra si ferma in centrale;
- ftt cabinet, o curb: viene raggiunto l’armadio tra la centrale e l’utente finale, dove vengono spostati i dslam;
- ftt basement: sono raggiunte le fondamenta del palazzo;
- ftt home: la fibra raggiunge direttamente l’utente finale.
Nell’ultimo caso la fibra ottica entra direttamente in casa; per ridurre complessità e costi quest’ultima tratta è priva di apparati
attivi e si basa sullo
splitting del segnale ottico, che raggiunge in
broadcast tutti gli utenti serviti dalla stessa fibra, i quali si avvalgono poi di meccanismi di indirizzamento e crittografici per recuperare solo ciò che è effettivamente indirizzato loro.
19.3.5 Ridondanza e pericoli naturali
Le fibre vengono normalmente interrate, e per questo sono esposte ai pericoli di essere attaccate da roditori, o di essere interrotte a causa di lavori stradali od agricoli. Quelle sottomarine sono a rischio per via di squali e reti a strascico. E’ più che opportuno prevedere una adeguata ridondanza (vedi §
24.6.3), in modo che in caso di interruzione di un collegamento sia possibile deviarne il traffico su di un altro.