La struttura interna di un cristallo è tradizionalmente studiata mediante una tecnica nota come cristallografia a raggi X, basata sui fenomeni di dispersione e successiva diffrazione dei raggi, che si manifestano in funzione della distribuzione degli elettroni di valenza degli atomi che costituiscono il cristallo. Per spiegarne il funzionamento, si ricorre tradizionalmente a notazioni proprie dell’elettromagnetismo, che ad un certo punto danno luogo ad una espressione integrale la quale, a guardarla bene, si rivela essere nientepopodimeno che una trasformata di Fourier tridimensionale.
Infatti, se solo per un attimo ci si ferma a riflettere che, in fin dei conti, un cristallo altro non è che la ripetizione nelle tre direzioni di una medesima cella elementare, allora appare del tutto evidente che la sua struttura sia descrivibile in termini di armoniche volumetriche, ciascuna relativa ad una terna di frequenze spaziali espresse come cicli/metro, ed associate ai multipli dell’inverso della dimensione della cella unitaria del cristallo nelle tre direzioni, essendo tale dimensione l’equivalente del periodo (spaziale) nella rispettiva direzione. A quel punto, le ampiezze complesse di tali armoniche sono valutabili mediante il ben noto integrale di Fourier.
Ma se andate a cercare una spiegazione del genere da parte dei cristallografari, semplicemente non la trovate. Il fatto è che la cristallografia a raggi X nasce prima che fosse definito il delta di Dirac, ed i conti relativi sono svolti in termini geometrici con i mezzi (al tempo) messi a disposizione da fisica dello stato solido, elettromagnetismo e ottica, fino a definire un qualcosa a cui è stato dato il nome di spazio reciproco, come se fosse qualcosa di fisico, le cui coordinate sono descritte da una terna di tre numeri interi, che in realtà sono molto semplicemente gli indici delle frequenze (armoniche) volumetriche.
Al che mi sono messo in testa di ristabilire la semplice realtà oggettiva delle cose, dato che nell’ambito del corso che tengo per i Bioinformatici mi è stato chiesto di affrontare l’argomento, rilevante in quanto in tale contesto la cristallografia a raggi X è utilizzata per individuare la forma delle proteine, da cui ne dipende la funzione. Ma dato che effettuare il salto diretto da una a tre dimensioni può dare qualche vertigine, l’analisi di Fourier viene prima discussa in due dimensioni, con riferimento all’analisi spettrale delle immagini; inoltre, viene anche affrontata la teoria alla base dei fenomeni di dispersione e diffrazione dei raggi X che incidono sul materiale, e discusso il ragionamento (noto come sfera di Ewald) che porta a derivare lo spettro di ampiezza 3D del cristallo a partire dalla figura di diffrazione che si forma su di uno schermo-rivelatore
e ricorda che per mantenere il sito libero da pubblicità ed editori è sempre gradita una
che ti permette anche di ricevere il formato navigabile di Trasmissione dei segnali e Sistemi di Telecomunicazione!